venerdì 19 novembre 2010

So quel che senti




Lucia Pizzo Russo

So quel che senti
Neuroni specchio, arte e empatia

Edizioni ETS (2009)


Qual è la relazione tra neuroni ed empatia?

Il presupposto da cui partire è che la comprensione dell’altro e dell’opera d’arte siano empatizzate e non percepite. L’empatia intersoggettiva comprenderebbe quindi anche l’empatia estetica. Dopo una riflessione sul termine espressione l’autrice riporta la definizione che Lipps dà di empatia, intesa come la relazione tra un’opera d’arte e l’osservatore che immaginativamente proietta se stesso nell’oggetto contemplato. Empatia non ha lo stesso significato di espressione, l’espressione si incontra nell’oggetto, ma è del soggetto ed è grazie all’empatia che noi veniamo a sapere della vita della coscienza dell’altro. Autori della Gestalt come Köhler criticano questa teoria e collegano la comprensione degli altri e delle menti altrui alla percezione, alla comprensione diretta.

Qual è allora la relazione tra arte, emozione ed espressione?

Secondo Arnheim è stata la risonanza corporea del soggetto, il suo sentire le dinamiche dell’oggetto, non spiegabile con la tradizionale teoria della percezione ad aver condotto alla teoria dell’empatia, cioè alla nozione che l’espressione altro non sia se non l’esperienza propria passata o presente dell’osservatore stesso proiettata sul percetto.

Come comprendiamo la mente altrui?

Gli autori della Teoria della Mente affermano che l’individuo attribuisce stati mentali a sé e agli altri. Ricerche neuroscientifiche hanno verificato che esistono due tipi di neuroni visuo-motori implicati in questo meccanismo: i neuroni canonici sono attivati immediatamente prima e durante l’esecuzione del movimento e anche quando il soggetto guarda l’oggetto; i neuroni specchio sono quasi identici a quelli canonici, si attivano quando l’animale muove la mano per prendere un oggetto e inviano comandi per uno scopo che richiede l’impiego coordinato di parecchi muscoli, cioè sono attivi quando si osserva un altro soggetto che compie un’azione. Questa scoperta chiama in causa l’empatia: propone cioè un meccanismo neurologico per spiegare come possiamo capire che cosa fanno gli altri. È un sistema empatico quasi naturale. La scoperta dei neuroni specchio e dell’esistenza di un sistema analogo nell’uomo rende lecita l’ipotesi che queste rappresentazioni motorie vengano utilizzate anche per creare rapporti empatici con gli altri.

Come applicare l’empatia e le evidenze neuroscientifiche all’estetica (empatia neuroestetica)?

Secondo Freedberg e Gallese, l’ipotesi è che l’elemento cruciale nell’apprezzamento estetico consista nell’attivazione di meccanismi incarnati in grado di simulare azioni, emozioni e sensazioni corporee e che questi meccanismi siano universali. Questo livello elementare di reazione è essenziale per capire l’efficacia che hanno su di noi sia le immagini della vita quotidiana sia quelle artistiche. L’esperienza estetica è definita come empatica e non percettiva perchè chiama in causa il processo di simulazione incarnata, il quale è automatico, inconscio e pre-riflessivo. Il cervello simula creando dei modelli del comportamento nostro ed altrui che noi utilizziamo per dare un significato a ciò che osserviamo o agiamo. Secondo Gallese, percepire un’azione e comprenderne il significato equivale a simularla internamente.

É possibile leggere la mente degli altri?

L’autrice riporta la critica di Iacoboni all’utilizzo del termine leggere: egli infatti afferma che noi in realtà percepiamo, rispecchiamo internamente in modo spontaneo, automatico e inconscio. Dal rispecchiamento si passa allora alla simulazione e da qui all’empatia. Il sistema mirror è un meccanismo che incarna una rappresentazione astratta dell’azione che però non è astratta perché è incarnata all’interno del nostro sistema motorio.
Dalla revisione di queste teorie filosofiche, psicologiche e giungendo a quelle neuroscientifiche, l’autrice conclude che l’evoluzione ci ha predisposto non tanto all’empatia, bensì ad interagire.

domenica 14 novembre 2010

iBrain - Gli effetti di internet sul nostro cervello

Sappiamo che internet ha provocato una vera e propria rivoluzione nelle nostre abitudini, nel nostro modo di comunicare e informarci, nel nostro modo di fare shopping...ebbene, non è tutto qui! In realtà ha fatto molto di più: ha modificato e continua a modificare il modo in cui il nostro cervello funziona, si sviluppa e interpreta le informazioni. E non stiamo parlando solo delle nuove generazioni cresciute a pane e informatica!
Infatti uno studio condotto dal Prof. Gary Small dell’Università della California (UCLA) e pubblicato nel libro iBrain: Surviving the Technological Alteration of the Modern Mind, ha comparato (attraverso un monitoraggio con fMRI) le aree celebrali che venivano attivate durante compiti di web searching e durante compiti di lettura di libri cartacei, in due gruppi di persone “mature” (dai 55 ai 76 anni) che si differenziavano tra loro solo per la familiarità con l’uso di internet (novelli internauti vs internet users). Durante la lettura di libri le aeree celebrali coinvolte erano simili nei due gruppi; mentre durante la ricerca su internet i dati differivano: chi aveva precedenti esperienze di navigazione attivava in modo più esteso i circuiti neurali connessi con i processi di decision making e con il pensiero complesso (un’attivazione più di due volte superiore : 21,782 voxels, contro solo 8,646 voxels per chi non naviga abitualmente). Queste differenze (dovute in parte alla normale attività di apprendimento) dimostrano che anche il cervello di persone non più giovanissime è in grado di modificarsi funzionalmente e di adattarsi con successo a nuove situazioni. Altro risvolto positivo, già più volte sottolineato: le attività che tengono impegnata la nostra mente e ci spingono all’acquisizione di nuove modalità di pensiero preservano la salute del cervello, ne migliorano la performance e le abilità cognitive.
Il Prof. Small precisa poi che se da un lato le nuove tecnologie accellerano il processo di apprendimento, promuovono la creatività, e ci fanno diventare più veloci nel prendere le decisioni, dall’altro presentano potenziali pericoli (soprattutto per ragazzi più giovani): l’isolamento sociale, l’internet addiction, i disturbi dell’attenzione e una maggiore superficialità nel trattamento delle informazioni e delle conoscenze.
La costante presenza dell’high-tech nella nostra vita è una spinta evolutiva: in futuro le persone meglio adattate saranno quelle che riusciranno a mixare buone competenza sociali con ottime capacità in ambito tecnologico.
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